Prof. Carolina Ciacci,
Gastroenterologia, Facoltà di Medicina
Università di Salerno
L’intolleranza ereditaria al fruttosio ha una prevalenza che si stima essere in Occidente di 1:20.000. Si tratta dunque di un disordine piuttosto raro del metabolismo la cui diagnosi è oggi facilitata dalla maggiore conoscenza dei suoi sintomi e dalla possibilità di praticare test genetici di conferma.
La diagnosi in età adulta è forse addirittura piu’ semplice che in età pediatrica. Una piccola intervista alimentare ci allerterà sul fatto che l’intervistato ha una dieta pressocchè priva di frutta, di dolciumi e di molte verdure. Questa dieta è stata scelta e raffinata con gli anni perchè all’ingestione del cibo contenente fruttosio, saccarosio, sorbitolo o altri zuccheri il cui metabolismo conduca a fruttosio, comparivano sintomi gastrointestinali.
In maniera assolutamente imprevedibile la quantità di fruttosio tollerata dagli intolleranti con diagnosi in età adulta è variabile da persona a persona. Come la sintomatologia anche gli effetti metabolici dell’assunzione di fruttosio sono variabili anche se di regola, sono piuttosto modesti. E’ possibile evidenziare un aumento delle transaminasi e/o dell’acido urico.
E’ piuttosto raro che gli adulti abbiano gravi problemi renali, epatici o crisi ipoglicemiche. Infatti, questo tipo di affezioni allerta paziente e medico ben prima dell’età adulta. Ci si chiede quindi se le mutazioni genetiche conosciute possano generare fenotipi (cioè una espressione della malattia intesa come un insieme di sintomi e alterazioni metaboliche) differenti che spieghino la parziale tolleranza al fruttosio di coloro che hanno la diagnosi in età adulta.
Ma un altro campo di ricerca molto interessante è quello che riguarda i familiari degli intolleranti, cioè gli eterozigoti per la mutazione dell’aldolasi. Alcuni studi indicano un possibile aumento del livello di acido urico nel sangue e un accumulo di zuccheri fosfati nel fegato di portatori eterozigoti. Questo sembra in contrasto con l’idea di portatori ‘sani’ associata alla caratteristica recessiva della mutazione del gene dell’aldolasi. Naturalmente l’esiguo numero di intolleranti al fruttosio che ogni centro di riferimento segue è una grossa limitazione alla ricerca sul campo.
La possibilità che un ‘ associazione laica di intolleranti e dei loro familiari si faccia portatrice di progetti di sensibilizzazione e di ricerca è una garanzia di sicuro successo. Una associazione di pazienti ha il potere di coagulare i gruppi di ricerca e di mobilitare l’opinione pubblica. E’ già successo per la celiachia che da malattia rara di 20 anni fa è salita al primo posto tra le intolleranze alimentari su base genetica.
La intolleranza al fruttosio, per la sua maggiore gravità rispetto alla celiachia e per la già grande preparazione dei pediatri che arrivano alla diagnosi anche nei casi piu’ sfumati, forse non ci sorprenderà come la celiachia ma è certo che la prevalenza cambierà molto ora che sono nati i test genetici e diverranno piu’ accessibili ai centri di riferimento.