Scritto da : Danila Amantini
RIMINI. Sofia ha 5 anni e frequenta la scuola materna, gioca con le amichette, si diverte, salta, balla, si mette in posa per le foto; è piena di energie e a guardarla non si direbbe che vive senza zucchero. Fin dai mesi dello svezzamento, ha sviluppato un’avversione naturale ai cibi come frutta e verdura, racconta la madre (35enne), ma a 7 mesi una grave crisi ipoglicemica, causata da un solo cucchiaino di prugna, l’ha costretta al ricovero in ospedale. Quello è stato il punto di partenza di svariate indagini ed esami che grazie all’equipe del reparto di Pediatria dell’Ospedale Infermi di Rimini, hanno portato alla diagnosi di “Fruttosemia”.
LA MALATTIA – La Fruttosemia conosciuta comunemente con il nome di Intolleranza Ereditaria al Fruttosio è una patologia genetica rara con trasmissione ereditaria autosomica recessiva. E’ una patologia metabolica ed è classificata come malattia rara. In parole semplici chi è affetto da Fruttosemia non può metabolizzare il fruttosio e quindi la sua assunzione può provocare sintomi avversi la cui gravità dipende da individuo ad individuo, dall’età del paziente e dalla quantità di fruttosio ingerita. Casi di Intolleranza ereditaria al fruttosio (IEF) sono stati riportati in Europa, America settentrionale, India ed Australia. La vera incidenza non è nota ma può essere stimata intorno a 1:20.000.
I SINTOMI – I bambini e gli adulti affetti da intolleranza ereditaria al fruttosio sono completamente sani ed asintomatici se non assumono alimenti contenenti fruttosio o saccarosio. Con il divezzamento e quindi con l’assunzione di frutta, verdura ed alimenti zuccherati, compaiono i primi sintomi. E’ stato dimostrato che più precoce è l’epoca di esposizione al fruttosio, più severa è la reazione. I neonati che non sono allattati al seno, ma sono alimentati con formule contenenti fruttosio sono in pericolo di vita. Nei primi mesi di vita i sintomi più frequenti sono: rifiuto dell’alimentazione, vomito e ritardo di crescita. Altri segni sono meno frequenti ma più specifici, quali ipoglicemia, shock e danno epatico. Se l’assunzione di fruttosio continua, gli episodi di ipoglicemia diventano ricorrenti ed il danno epatico e renale progredisce. I pazienti possono quindi presentare: pallore, epatomegalia, episodi di emorragia intestinale e/o cutanea, convulsioni, shock. Con l’eliminazione del fruttosio dalla dieta i sintomi regrediscono. Se la malattia non è diagnosticata nei primi mesi di vita, gli episodi acuti divengono più rari poiché il bambino sviluppa un’avversione agli alimenti ed alle bevande contenenti fruttosio. In tali casi la diagnosi è posta in età scolare ed il quadro clinico è caratterizzato da distensione addominale, epatomegalia e ritardo di crescita. Altri pazienti che seguono spontaneamente una dieta povera di fruttosio, sono diagnosticati per caso in età adulta.
TERAPIA – L’unica terapia consiste nell’eliminazione dalla dieta di tutte le fonti di fruttosio, saccarosio e sorbitolo. Il fruttosio si trova prevalentemente nel miele, in tutta la frutta, nei vegetali crudi, nei pomodori, tuttavia le fonti “nascoste” sono numerosissime. Tutte le caramelle, le bevande e gli alimenti per l’infanzia possono contenerne tracce. Molti prodotti in scatola, come per esempio salse, cereali per la prima colazione, condimenti per insalate, contengono zuccheri aggiunti utilizzati dalle industrie alimentari per ottenere un sapore più gradevole e migliorare la conservazione. Persino il pane, anche quello non dolcificato, può contenere tracce di zucchero, utilizzato per permettere una migliore lievitazione. Le patate contengono tracce di saccarosio, che vengono eliminate con la conservazione. I prodotti dietetici e quelli a basso contenuto calorico con sapore di frutta contengono zuccheri non permessi. I prodotti per diabetici sono spesso dolcificati con fruttosio o sorbitolo. Persino alcuni dentifrici per bambini a volte sono dolcificati per renderne più gradevole il sapore. Tutte le medicine in forma liquida, generalmente contengono saccarosio e/o sorbitolo.
ASSOCIAZIONE – L’AIF ONLUS – unica in Italia, con sede a Napoli (città nella quale si registrano il maggior numero di casi, assieme a Padova) ha associati in tutte le regioni d’Italia, dalla Sicilia alla Lombardia e Piemonte – attraverso il sito internet (www.aifrut.it) e, da quest’anno il gruppo di Facebook (facebook.com/groups/Aifrut), da dieci anni porta avanti il compito di informare e sostenere tutti coloro che in un modo o nell’altro vengono a contatto con i fruttosemici: medici, genitori, insegnanti. Sollecitano, inoltre, gli organi deputati alla promozione di azioni preventive – quali ad esempio la segnalazione di quantità anche minime di fruttosio negli alimenti e nei farmaci – o di sostegno alla vita quotidiana – ad esempio, la fornitura di vitamine ed integratori alimentari a carico delle ASL, il riconoscimento dello stato di handicap. Oggi colgono finalmente l’obiettivo più significativo della loro storia, riuscendo a finanziarie il primo progetto di ricerca, grazie ai fondi del 5×1000.
La mamma di Sofia e tante mamme in tutta Italia grazie all’AIF hanno creato una rete nazionale per sostenersi e confrontarsi quotidianamente.
Sosteniamo la ricerca delle malattie rare.
Buongiorno ho 45 anni ed é una vita che ho l intolleranza ora finalmente l ho scoperto con analisi DNA a Napoli presso la Federico II e mi sto curando ma devo fare accertamenti per capire il grado di fruttosio accumulato fin ora . Grazie per l appoggio . Se avete qualche medico di riferimento sarei grata se mi deste numero di tel e indirizzo grazie ancora